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Come trasformare le convinzioni limitanti dei bambini e dei ragazzi, grazie al potere del racconto.

di Veronica Remordina

Se sei un Coach o un Formatore genitoriale, ben saprai che ogni mamma e papà dona al proprio figlio il meglio di sé. Il fine è quello di crescere figli autonomi, felici e che riescono nella vita.
Nell’ideale utopico di ogni genitore vi è una storia di sviluppo agevole, dove tutto fila liscio e le emozioni sono piacevoli.
La realtà dei fatti è che, prima o poi, un figlio si troverà di fronte a taluni ostacoli: a scuola, nelle relazioni, nello sport e in famiglia. In questi casi, i pensieri che gli si fanno largo nella mente possono essere di due tipi. Da un lato quei pensieri costruttivi, ottimisti, ricchi di incentivi personali e di motivazione ad agire per superare gli ostacoli, le cosiddette convinzioni evolutive (come ad esempio: “sento di poter imparare tutto quello che desidero nella vita; affronto l’interrogazione con sicurezza e fiducia; so di valere indipendentemente da ciò che dicono i miei compagni”).
Dall’altro lato potrebbero invece comparire e diffondersi, come una coltre di rovi che infesta un sottobosco, le convinzioni limitanti, quei pensieri di sfiducia, pessimisti e auto squalificanti, che invece vanno a frenare l’agire (come ad esempio: “non posso giocare a basket perché sono basso; sono troppo silenzioso per avere amici; non sono bravo nella lettura; non valgo abbastanza”).

E quando le convinzioni limitanti fanno la loro comparsa, per quanto un genitore sia mosso dai migliori propositi, anche le più buone intenzioni possono portare a risultati pessimi, se non adeguatamente guidate.
E come dovrebbe agire, allora, un genitore per supportare il figlio a passare dall’avere convinzioni limitanti a trasformarle in convinzioni evolutive?
È vero, esistono diverse modalità, tutte validissime, per lavorare sulle convinzioni limitanti e, per esperienza, quella che in assoluto si configura come la più efficace in ambito educativo è l’uso strategico del racconto trasformativo. Grazie ad esso, l’adulto fa fare al bambino o al ragazzo un volo immaginativo, dove fantasia e realtà si fondono insieme all’insegna della nobile ricerca dell’evoluzione di pensiero.

Qual è lo scopo del racconto?

  • Evocare nuove realtà;
  • Ri-contestualizzare le vecchie realtà;
  • Elicitare emozioni piacevoli e spiacevoli e dare esempio del loro accoglimento;
  • Disegnare nuove opzioni di pensiero;
  • Aprire a diverse soluzioni.

Il racconto trasformativo, se ben impostato, diventa la chiave per far svoltare la convinzione limitante in convinzione evolutiva. Come fare quindi ad inventare/scegliere il giusto racconto?

Il primo aspetto da tenere in considerazione è il ricalco. Il bambino o il ragazzo che ascolta la storia dovrà sentirla in sintonia con se stesso, il suo mondo e la sua esperienza, oltre che con la difficoltà che sta attraversando. Questo perché ciò che è simile ha il potere di rassicurare e di dare fiducia. In questo senso la storia potrà avere degli aspetti simili e riproposti sotto una diversa luce.
I protagonisti della storia potranno essere animali amati dal bambino o dal ragazzo, creature fantastiche, personaggi famosi di ispirazione, racconti storici. Attenzione, non si tratta solo di copiare la situazione contingente e di raccontare come qualcun altro l’ha superata. Si tratta piuttosto di inserire nel racconto delle sottili e inconsce allusioni che faciliteranno il volo immaginativo. Per farlo al meglio, potrà risultare utile inserire delle metafore che consentiranno al bambino o al ragazzo di costruire nuove rappresentazioni mentali. Cosa sono le metafore? In retorica si definisce metafora una similitudine abbreviata, in cui una parola viene utilizzata in sostituzione di un’altra. La metafora, scelta secondo il giusto ricalco, aiuta a fissare contenuti attraverso immagini evocative, rende ancora più ricca la trama del racconto e ha il potere di ampliare i significati.

Il secondo aspetto utile per la costruzione del racconto trasformativo è la struttura della storia. Quattro sono le fasi da seguire:

  1. Fase iniziale neutra, in cui i personaggi vengono introdotti con i loro ruoli e il bambino o il ragazzo non solo si crea una cornice mentale del contesto, ma inoltre viene attratto e catapultato all’interno del racconto;
  2. Fase di rottura di schema, in cui la situazione cambia, nel racconto si presenta un problema apparentemente insormontabile (e qui le emozioni, le parole, gli atteggiamenti del protagonista saranno simili a quelli del bambino o del ragazzo in preda alla sua convinzione limitante);
  3. Fase di problem solving, in cui il personaggio attraverserà diverse peripezie e ostacoli personali per superare il problema;
  4. Fase risolutiva, in cui il personaggio della storia raggiunge la sua consapevolezza: in questa fase è determinante descrivere il linguaggio interiore del personaggio, cosa vede e cosa sente di diverso tutt’attorno nella sua nuova situazione raggiunta, come vive le sue emozioni e cosa pensa di se stesso.

Il terzo aspetto da considerare è la condivisione successiva. Uno degli errori più comuni che viene fatto, quando si usa la strategia del racconto trasformativo, è quello di andare a spiegarne i significati alla fine, e quindi di condurre il bambino o il ragazzo ad una forzatura di pensiero.
In realtà la vera forza del racconto trasformativo sta nel suo lavoro a livello inconscio. Solamente lasciando libero il fruitore di interpretarlo a suo modo andrà a facilitare il raggiungimento di nuovi livelli di consapevolezza, a livello di convinzioni.

Un’ultima e doverosa riflessione prima di salutarci: come al solito qui parliamo di metodi e tecniche potenti, che ancora di più funzionano là dove c’è la sana e genuina intenzione di aiutare gli altri a stare bene con loro stessi e con il mondo circostante.

Un caro saluto!